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Il mio primo articolo del blog

Sii te stesso; tutti gli altri personaggi hanno già un interprete.

— Oscar Wilde.

Questo è il primo articolo sul mio nuovo blog. Ho appena iniziato a mandare avanti questo nuovo blog, quindi resta sintonizzato per altre informazioni. Abbonati qui sotto per ricevere una notifica quando pubblico nuovi aggiornamenti.

Zalando, shopping seduto

Meno giri, più sostanza: le tappe imprescindibili per un acquisto comodo, ma anche vantaggioso?

L’esperienza Zalando: la seduzione dell’avere una cabina di prova in casa. La realtà del non essere provvisti dello specchio restringente.

Quante volte, dopo un intero pomeriggio di shopping, abbiamo tirato fuori dalle borse colorate dei capi che ci sembravano perfetti, per poi renderci conto che saremmo dovuti tornare sui nostri passi per restituire il tutto? Shopping comodo, ecco cosa ci offre l’esperienza Zalando, una sfida che ci porta direttamente sulla passerella dell’acquisto online.

La pazienza dell’archeologo

Riuscire a scovare l’articolo che si desidera è sempre stato un miraggio per i consumatori. Precursori della moda o ritardatari sui nostri tempi, quello che si cerca immancabilmente non si trova. Online poi, le cose si complicano. Impossibile poter sfiorare con la mano la fila di vestiti appesi: qui i filtri sono essenziali, se non si vogliono trascorrere le prossime due ore a passare in rassegna pagina per pagina. Oltretutto, fuori luogo i consigli di abbigliamento propinati dallo stesso computer da cui facciamo i pagamenti e che sa meglio di noi quanto abbiamo sulla carta di credito!

Carta bianca all’investitore

Dunque, aggiungere tutto sulla lista dei desideri, aspettando che questa si trasformi magicamente nella lettera di Natale. Siccome nulla apparirà per incanto nel nostro guardaroba, tocca a noi armarci di un’incommensurabile forza di volontà e con scrupolosità stoica controllare regolarmente gli sconti. Piccoli broker di borsa per un grande acquisto, bisogna saper valutare con attenzione il momento migliore per rendere i desideri realtà, aggiungendoli al carrello. Le strategie possono essere molto diverse: c’è chi fa arrivare tutto insieme per cifre totali folli, chi si concede ogni 10 minuti una comanda e chi aspetta l’Occasione, ordinandone almeno due pezzi per taglia e colore.

Scopriamo le carte in camera

“La sua consegna sarà recapitata a breve”: il mantra che ci spinge ogni mattino a sbirciare nella cassetta della posta e a chiederci il vero significato della parola “breve”. Una volta arrivati i pacchi, deliziosa la sensazione della striscia di cartone bianco e arancione che viene via, rivelando la potenza di Photoshop. Dopo aver scoperto materiali e una gamma di colori non lontana da quella dei daltonici, il felice vincitore sopravvissuto al setaccio della nostra valutazione sarà salvato. Deposto con cura maniacale nella sua nuova dimora, i due terzi rimanenti saranno riavvolti nella plastica.

Postini per un giorno

L’organizzazione in questo caso è tutto e va eseguita con una meticolosa procedura, da seguire passo per passo. A prova di stupido, è necessario indicare su internet quali articoli torneranno nei loro magazzini e perché (“non va bene” è un buon sunto dei motivi) e poi richiudere il pacco, incollare l’etichetta fornita con la fattura e spedirlo in posta. E qui si cela una grande problematica: se i pacchi grandi si accumulano, sarà inevitabile una lunga serie di andata e ritorno, coronata dagli sguardi scettici della cassiera. Quello che non sappiamo è cosa ne faranno della pila di vestiti restituiti, mai usati, sicuramente non riciclati: un inconfessato rogo consumistico?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, gennaio 2020.

DA ZURIGO. Le impronte della lingua

La retorica è il perno attorno al quale gira la politica, ma la lingua è politicamente corretta? A partire dalle arringhe degli antichi, la lingua viene sfruttata non solo per dire, ma anche per omettere, accennare, ostentare. Ovviamente non si tratta solo di concetti, ma anche di espedienti formali, strategie, argomentazione che portano a suggerire una certa interpretazione, presentare un certo punto di vista. E talvolta può essere inopportuno non solo dire troppo poco, ma anche dire troppo.

In linguistica il genere, maschile o femminile, ha un’espressione particolare: vi sono delle parole che di default appartengono al genere maschile, come nel caso di barone o avvocato. Per avere l’equivalente al femminile bisogna aggiungere un suffisso, come nel caso di baronessa, e quindi il femminile risulta essere più marcato, meno basilare e meno naturale, più lungo da pronunciare. Dall’altra parte, nel caso di parole come avvocato o medico, ci si trova sempre di fronte a un dilemma: quale è la corretta forma al femminile?

Se si fa invece un confronto con il tedesco, il femminile spesso viene espresso in maniera regolare Lehrer, Lehrerin, con il suffisso. In tedesco però vi è anche un terzo tipo di genere, il neutro, che normalmente viene impiegato per parole importate da altre lingue, aggettivi, verbi, avverbi e preposizioni. Interessante da notare è la parola das Mädchen, la ragazza, che codifica un sostantivo con referente evidentemente femminile con il neutro.

Volendo utilizzare la lingua per essere politicamente corretto, talvolta si può risultare piuttosto politicamente scorretto.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, gennaio 2020.

DA ZURIGO. La posta in gioco

«Les jeux sont faits». E invece il sipario non si chiude qui: anche se non siamo più bambini, giochiamo ancora. Non sono certo gli stessi giochi, svaghi e piaceri o gli stessi giocattoli, dato che i nostri sono più costosi o impegnativi e hanno un altro aspetto esteriore, ma alla fine continuiamo a competere, a rappresentare, a puntare su qualcosa, ad accostare forme geometriche tra loro (ogni riferimento a Candy Crush non è puramente casuale). E soprattutto, non smettiamo di rimetterci in gioco, di avere un po’ di quella autoironia che rende tutto più leggero, meno serio, proviamo a superarci, sapendo che anche se non vinciamo, il gioco vale la candela. Il senso dello stare al gioco è anche espressione del modo in cui ci autorappresentiamo, della consapevolezza che abbiamo sul nostro modo di lanciare i dadi. Non sembra, ma il gioco è una delle cose più reali, non per nulla nessuno vuole restarne escluso, a guardare da fuori gli altri che si muovono secondo regole da saper sfruttare a proprio favore. Se quando eravamo piccoli la mamma ci diceva: «Finché non finisci la cena, non ti alzi dal tavolo per andare a giocare», oggi, studenti universitari lo replichiamo: «Finché non finisci il saggio, non ti alzi dal tavolo per andare a cena». Perché se non ci buttiamo nel pieno della vita e la prendiamo con le sue regole e le sue pedine, tutto diventa un lavoro da spuntare sulla nostra to-do-list. Se invece accettiamo di sederci al tavolo, ci rendiamo conto che non stiamo giocando solo con le carte che abbiamo in mano, ma con la persona che vediamo allo specchio.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, dicembre 2019.

Elogio della strategia

In ogni famiglia l’asso nella manica, puntualmente con le caramelle, ce l’ha la nonna

Ritrovo di famiglia, l’alberello nell’angolo che protende le ghirlande dorate verso la tavola imbastita. Sbrilluccica tutto, persino i piatti vuoti. Improvvisamente, l’idea del secolo, che notoriamente parte dall’unica persona che non sta partecipando alla conversazione, ma che da una buona oretta, abbandonata sulla sedia, ha le palpebre che faticano a non abbassarsi: «Giochiamo a qualcosa!». Dall’altra parte del tavolo, gli occhi della nonna brillano per un momento, il suo momento. Ci chiediamo dove abbiamo già visto questo sguardo e ci ricordiamo una miriade di carte rosse e nere, enormi, che fatichiamo a tenere in mano. Le gambe avanzano fuori dal bordo della sedia senza toccare terra, che dondoliamo nell’eccitazione di sapere che stiamo vincendo. La voce dolce della nonna che protesta, un cioccolatino alla mano: «Ma dai, ogni tanto lascia vincere anche la nonna!». Poi, stesso sguardo che, con una punta di malizia, vede sfilare una scopa dopo l’altra, ruba un mazzetto, briscola, asso pigliatutto. Che la nonna vinca sempre, è un eufemismo. In tutte le famiglie, con tecniche e strategie differenti, c’è sempre quel parente, all’apparenza incompetente, che riesce ad averla vinta su tutta la famiglia riunita.

Inutile cercare alleanze presso gli altri: una volta che le carte sono state distribuite, il dado è tratto e da qui in poi è solo una questione di tempo. I più coraggiosi tentano ancora il braccio di ferro, ma i perdenti incalliti, che hanno alzato bandiera bianca, ormai hanno capito il valore dell’eredità che lei sta trasmettendo. Sicuramente la nonna non giocherà mai a carte scoperte, perché i maghi non svelano mai i propri trucchi.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, dicembre 2019.

DA ZURIGO. Piccoli lavoratori studiano

«E tu cosa vuoi fare da grande?». Ora che siamo grandi, non lo sappiamo più. O perlomeno, abbiamo messo nel cassetto i sogni di quando eravamo bambini. L’astronauta al primo posto: ci rendiamo conto di quanto fosse facile guardare il futuro con il casco spaziale in testa, a guisa di mosca, che vede un mosaico panoramico, o per dirla in altri termini, le scale montaliane. Abbiamo realizzato che per prendere l’ascensore ialino della fabbrica di cioccolato ci vuole ben altro che un Bachelor in ingegneria meccanica. Finito il tempo delle fantasie, comincia quello della logica di mercato, e lavorare non è più solo un’idea usa e getta. Come ci siamo accorti che la stanchezza è una condizione di base delle nostre giornate, così è diventata allettante, necessità, la prospettiva di un lavoro. Remunerato ovviamente. Per riuscirci, a livello strategico, ognuno cerca di tirar fuori dal cappello i conigli che ha. In particolare all’università una scelta si impone: studiare una delle cose che ci piace, o prevedere un percorso che ci porterà a fare il mestiere cui abbiamo puntato? Un mago non rivela mai i propri trucchi, ma siamo davvero sicuri che molti degli impieghi di oggi esisteranno ancora tra un lustro? Oltretutto la probabilità di finire a fare un lavoro del tutto diverso da quello che abbiamo studiato è molto alta. O addirittura saremo noi ad inventarci il lavoro, come analista di big data o video blogging o docente di un corso di aggiornamento per gli uffici di orientamento scolastico. Come direbbe Alberto Sordi nel film I Vitelloni: «Lavoratori: … prrr (pernacchia)!», prima che l’auto si fermi.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, novembre 2019.

Instagram is the new Facebook

Da foto di profilo a selfie accessoriato e filtrato: il prossimo da pubblicare va direttamente sulle stories di Instagram

Dimmi quando sei nato e ti dirò quanto spesso utilizzi Facebook. Una lontana reminiscenza per i Post-Millenials o Centennials, che lo considerano superato rispetto a Instagram. Un dato di fatto: i veri giovani, quelli non ancorati per il momento a piccole abitudini, hanno abbandonato le bluastre spiagge della piattaforma online, nonostante – o forse a causa dei numerosi (ma non sufficienti) aggiornamenti per approdare nel regno dell’immagine, icona assolutizzata del secondo visuale, incoronata dagli hastag, sostituti di frasi.

Ci si può quindi interrogare sull’improvvisa virata da un’applicazione all’altra, sebbene oggigiorno i server e il proprietario siano gli stessi, e sui motivi che hanno scatenato questo fuggifuggi generale da quello che per circa una decina di anni è stato il social network più in voga, il vero libro delle facce, a favore del social network delle stories.

In primis bisogna specificare il fatto che il discorso non è netto quanto lo si crede: infatti ad oggi il tempo di utilizzo di Facebook, consultabile da ognuno sul proprio telefono, risulta essere maggiore rispetto a quello di Instagram. Il fatto dunque di essere passati a Instagram, dopo aver utilizzato Facebook per più di un lustro, non ha comportato una conseguente cancellazione del proprio profilo: l’uno non ha precluso l’altro. In un breve vox populi condotto fra i giovani della generazione z, l’applicazione blu viene aperta due volte al giorno circa, di contro a Instagram che prevede numerosi accessi, anche se per meno tempo. Si tratta forse di un’applicazione veloce, ancora più veloce, consona all’era del kairòs?

Confrontando le due applicazioni, Facebook offre molteplici pagine consolidate, sia di notizie che di intrattenimento, che nel corso degli anni sono aumentate nella nostra bacheca e dai video generalmente lunghi, mentre su Instagram si spazia dai pochi secondi all’IGTV. Inoltre su Facebook possiamo leggere le opinioni e gli stati dei nostri «amici», cosa che aumenta ulteriormente il tempo di utilizzo dell’applicazione. D’altra parte quelli che un tempo erano amici oggi sono persone che seguiamo: a livello lessicale siamo stati promossi! La differenza è notevole e fa emergere come le relazioni siano fondate in maniera minore su un coinvolgimento emotivo, ma più per interesse, senza averci a che fare direttamente. Queste, d’altra parte, sono probabilmente le stesse ragioni per cui ha avuto origine il massiccio cambiamento verso Instagram, sintesi e riflesso dell’urgenza di una lettura che non supera i 4 secondi per immagine, di gran lunga diversa dallo zapping di 10 anni fa. Storie in tempo reale: a nessuno interessa il post in cui scrivi che piove, ma tutti vogliono vedere in diretta dalla tua camera la pioggia che cade, entrare brevemente nel tuo mondo. Anche se, tra i filtri e la spontaneità apparente della disposizione degli oggetti, bisogna diffidare del making of. Siamo i fautori del marketing di noi stessi e nella promozione di una vita da influencer, con la costante paura di non riuscire più a emozionare con la nostra quotidianità.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, novembre 2019.

Lavoro virtuale

L’automazione del lavoro si sta insinuando in ambiti impensabili fino a 20 anni fa, rimettendo in questione le possibilità di carriera

Come diventare giornalisti in tre semplici mosse. Primo, scarica il tuo robot-reporter con Wordsmith. Secondo, scegli quali dati deve utilizzare. Terzo, personalizza il tuo articolo!

Il robot-giornalismo non è una congettura dell’informazione di domani, ma una realtà effettiva di oggi.

A livello elvetico la stessa Tamedia, la più grande azienda mediatica privata in Svizzera, ha prodotto in un solo giorno centinaia di articoli relativi alle votazioni nazionali e adattate a ogni singolo comune: un exploit che sarebbe stato impossibile anche se l’intera redazione di giornalisti si fosse dedicata solo a quello.

Addirittura questo articolo potrebbe essere stato scritto da un robot e non saremmo in grado di distinguerlo poiché corretto in fase finale da un essere umano che gli ha reso un tono più naturale e originale. Il giornalismo algoritmico è in grado di effettuare diverse funzioni in un tempo record: dall’analisi di dati alla personalizzazione dei contenuti. Non solo, vengono già svolte indagini accurate per la preferenza degli utenti, utilizzando i Big Data e modelli di previsione, come nel caso di Spotify e di Netflix. Questi algoritmi di preferenza andranno poi a consigliare il consumatore su cosa potrebbe piacergli, filtrando automaticamente la ricerca. Se tra un paio di anni questo dovesse diventare tale anche per gli articoli, leggeremmo ancora le notizie che magari potrebbero non piacerci? Già nel 2018 il 36% della popolazione svizzera ha scelto di non informarsi, o farlo saltuariamente, consultando fonti di notizie non attendibili o di scarsa qualità. In una prospettiva del tutto antitetica invece potrebbe essere la carta a non esistere più del tutto. Alexa, in commercio su Amazon dal 2014, è un’assistente virtuale che si esprime tramite un altoparlante, e che non solo può fungere da sveglia, fornire il meteo e ricordare gli appuntamenti della giornata, ma è anche capace di riassumere le notizie principali e riportarle sinteticamente. Se dunque le notizie sono scritte e riassunte da robot, non saremo più giornalisti ma una versione non solo avanzata, ma addirittura potenziata. Se siamo in grado di programmare i robot per fare quello che facciamo oggi, cosa faremo domani?

Abbiamo sempre pensato che i lavori di testa non sarebbero stati colpiti dalla tecnologia strisciante, e invece risultano essere i primi in lista, dopo le casse automatiche al supermercato. Un paradosso? Questioni di processione più veloce, elaborazioni complesse di dati, maggior precisione a livello di microchirurgia. Tutti sistemi che con l’arrivo del 5G verranno ulteriormente potenziati, assicurati da velocità superiori: ad esempio saranno più precise persino le macchine che reagiscono in maniera autonoma al traffico, calcolando la distanza tra gli ostacoli e reagendo di conseguenza.

Tutto automatizzato e programmato: abbiamo firmato le nostre dimissioni prima ancora di cominciare a lavorare. Noi, correttori di bozze, autonomi nel passare in cassa il codice a barre del frappè super proteico con vitamine naturali, che ci lasciamo trasportare dalle nostre auto. Siamo supportati dalle tecnologie o supporto di esse?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, novembre 2019.

DA ZURIGO. Guida al veterano dell’estate

L’estate a Zurigo sembra un miraggio durante i lunghi mesi invernali, ma quando arriva, arriva. E allora a noi ticinesi non rimane che cambiare il nostro sistema di riscaldamento corporeo, adattandoci a un’afa che ci raggiunge anche sotto le frequenti docce congelate, passaggio obbligato per non rilucere giorno e notte dal sudore. Andare a fare la spesa diventa un viaggio al polo nord, popolato da tanti elfi pensionati che hanno deciso di passare lì la giornata, attaccati al congelatore delle pizze, che invano cerchiamo di aprire. L’investimento maggiore, oltre a un paio di infradito, è quello di un ventilatore, modello super-mega-top per il quale non badiamo a spese, dopo notti di insonnia dovuta al caldo. Come in inverno restiamo seduti vicino al forno semiaperto, così d’estate, davanti ai coinquilini che vorrebbero fare cambio, restiamo minuti interi davanti al frigo perché soit-disant «non sappiamo cosa mangiare oggi». Ci concediamo qualche gita a Letten, fiume gelido che non si smentisce mai, e che, sulla scia della tradizione di Basilea, è attraversato da innumerevoli corpi attaccati alle loro borse di plastica, che placidamente si lasciano trasportare dalla corrente. Da ultima, ma non per ultima, la mitica Stalla, chiamata così solo dai ticinesi. Questa più che ordinaria biblioteca di Irchel, isolata su per una collina verde, accanto a un pascolo per alpaca, è il ritrovo idilliaco per una clausura di studio intenso. Approdo per studenti incalliti, che non mollano neppure d’estate, funge da scenografia per la crisi pre-intra-post esami e per i maratoneti estivi.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, ottobre 2019.

Lotta per l’alienazione

Finalmente sbarcano gli alieni sul pianeta Terra. Chi riuscirà a conquistarsi l’egemonia dell’intero sistema?

Forme di vita, intelligenti, nell’Universo? Possibile. Ponendo che sia così, allora noi, piccoli esseri umani, in quale parte della gerarchia finora da noi stabilita ci mettiamo? Da rivedere, sicuramente, il ciclo della catena alimentare.

Mettendo da parte queste inezie, il problema che l’Homo Sapiens deve porsi oggi va però ancora più in là della semplice, effettiva o potenziale esistenza degli alieni. Infatti, a livello di relazioni di superiorità-inferiorità, abbiamo già perso molta credibilità. Essersi posti al centro del mondo, e averlo ricollocato come rotante intorno al sole, ci ha fatto prendere coscienza del nostro potere e della nostra identità. Credevamo di poter controllare tutto, di non aver più bisogno di rimettere i nostri atti a qualcosa d’altro, ma sicuri di poterli contare nella nostra sfera d’azione.

Abbiamo negato i sensi e abbiamo ricostruito tutto con la ragione, abbiamo scoperto cosa ci portiamo dentro anche a livello inconscio, abbiamo riaccettato i nostri sensi e l’importanza delle cose materiali; dicendo «Dio è morto» Nietzsche non ha fatto altro che dichiarare che il posto era vacante. Ci siamo autoincoronati, con una grande cerimonia e, soddisfatti, ci siamo seduti sul trono delle responsabilità. Poi dall’alto abbiamo guardato quello che abbiamo creato e quello che ci è capitato, siamo andati a protestare dicendo che abbiamo accettato questo posto pensando che andasse tutto per il meglio. Allora, abbiamo deciso di creare un nuovo mondo, virtuale, potenziabile all’infinito e a nostra immagine e somiglianza: internet, la tecnologia, le macchine. La potenza e l’estendibilità di questo potere ci ha però sorpassati: non siamo più in grado di gestirne l’intera portata, l’intero sistema si è come distaccato da chi lo aveva creato, diventando una creazione frankensteiniana. Come dice Yuval Noah Harari nel suo libro omonimo, l’Homo Deus è ora in grado di gestire guerre, pestilenze e carestie. Ma è in grado anche di gestire la creatura tecno-virtuale che ha creato? Il progresso non si è fermato e questo Homo Deus ha voluto diventare un dio più perfetto, potenziato. Ad esempio oggi è possibile se non si vede o non si sente bene, collegare un impianto elettronico artificiale al cervello, e accrescere le nostre possibilità sensitive umane. Homo Deus evoluzione in Homo Machina. Realtà aumentata: saremmo capaci di ottenere informazioni che con i nostri cinque sensi non potremmo percepire. Ponendo ora che dovessero arrivare gli alieni che, dopo milioni di anni di silenzio radio, hanno aspettato il momento migliore per comparire sulla terra, certi che in questo modo saremmo riusciti a percepirli, comunicare con loro; ci ritroviamo al confronto Homo Machina versus extraterrestre. Questione di autorità, chi si colloca in cima alla piramide dello sviluppo per accomodarsi sul trono vacante? Anche potenziati, siamo sicuri di tenere testa a un piccolo alieno venuto a trovarci da una galassia lontana lontana? Spingiamo l’evoluzione al suo massimo: oltre a accrescere le possibilità delle percezioni extrasensoriali, aumentiamo la nostra capacità di pensare, il nostro cervello. Chi è l’alieno ora?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, ottobre 2019.

DA ZURIGO. Esami in diretta

Ultimi momenti di un tutto che a breve si trasformerà in nuvole estive, viste dall’ombrellone su una spiaggia. Per ora, la pioggia fredda ci ricorda l’autunno e le finestre grondanti non lasciano intravedere nulla se una nebbia persistente sulla città di Zurigo, trafitta da qualche tetto rosso. In diretta dal piano K dell’edificio principale, dormiamo a tratti, sdraiati non più sulle coperte, ma su pile di fogli, impilati alla meglio, i libri che disegnano un sentiero sul pavimento. Tempo di esami: sembra essere diventata routine, ma siamo ben lontani dalla sicurezza monotona del gesto ripetuto. Le conversazioni che non toccano il tema scuola sono assurdamente quelle che ci ricordiamo meglio; mentre come ogni volta ripercorriamo il semestre con i sensi di colpa per quello che avremmo potuto fare ma non abbiamo fatto. “Verrà un giorno…” in ci saremmo pentiti per aver dormito tutto il weekend. Ecco: è oggi quel giorno, ma ancora ci ostiniamo a svegliarci alle 4.00 di mattina per guardare in diretta gli ultimi episodi di Game of Thrones. Non troviamo più posti a pranzo; ogni presa è assediata da una ciabatta di caricatori che si dipartono verso computer grigi, specchi del nostro umore. Poco più sopra gli schermi possiamo vedere una moltitudine di occhiaie, conformemente in training, pronte al tic nervoso. Il caffè mattutino ha subito una metamorfosi in Redbull che non tentiamo neanche di giustificare; le vitamine hanno preso il posto delle penne. Ancora poche ore e ci risveglieremo da uno dei momenti più intensi della nostra vita. D’altronde, si vive una volta: se non ora, quando?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, maggio 2019.