Animali in smoking

Uno sguardo al nostro dualismo intrinseco, tra ragione ed impulso: un’evoluzione che si lascia dietro tracce animalesche

«L’uomo è un animale razionale». Aristotele lo pensava e la parabola della metafora raggiunge il suo apice con Esopo, in forme rivisitate poi nel corso della letteratura: dalle tre fiere nella selva dantesca a La fattoria degli animali di Orwell, il topos ricorrente possiede un fascino indefinibile.

Sicuramente le manifestazioni della nostra parte animale sono talmente evidenti da sempre, che fin da Platone è eloquente l’immagine della biga alata. La coppia di cavalli che la traina simboleggia l’anima: il cavallo bianco tende a dirigersi verso il mondo delle idee; dall’altra la parte quello nero desidera andare nella direzione del mondo sensibile. Alla ragione spetta il compito di guidare i due cavalli, mantenendone il controllo. Allo stesso modo il dualismo di Cartesio non lascia ombra di dubbio in merito alla divisione intrinseca dell’essere umano tra la sua res cogitans e la sua res extensa. Da una parte il corpo, dall’altra la mente. Il controllo razionale di una parte sull’altra è sempre stato, paradossalmente, istintivo: e dopotutto la nostra razionalità non è quello che ci distingue dagli animali? Tuttavia, anche dopo secoli di evoluzione, possiamo ancora discernere tracce di comportamenti animaleschi nell’uomo: chassez le naturel, il revient au galop. Il nostro istinto permane e ci spinge a soddisfare i bisogni primari della sopravvivenza, come la fame, il sonno, il sesso. In altre parole, quello che era stato definito da Freud come pulsione di vita e pulsione di morte. Ci si potrebbe chiedere se oggi siamo ancora a questo punto o se la riflessione si sia sviluppata. Un breve vox populi risponde in maniera preponderante al fatto che il sesso sia uno dei principali atteggiamenti impulsivi dell’uomo. Se lo classifichiamo tuttora come un lascito significativo della nostra parte animale, indica forse il fatto che sussista in quanto tabù? Indubbiamente è rivelatore della nostra vita intima, come lo sono la morte e il nostro ritmo biologico. Ne parliamo sicuramente di più, e qui si rinvia a Cinquanta sfumature di grigio, ma rimane un elemento importante della sfera in cui possiamo essere noi stessi e lasciarci andare al piacere. Perché se l’uomo è un animale razionale, lo è anche sociale e se le convenzioni sociali sono anche motivo di inibizione dei desideri e degli istinti, siamo comunque indubbiamente animali.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, maggio 2019.

DA ZURIGO. Giornalisti in erba

Lo scoop, come il pelo nell’uovo, bisogna andare a cercarlo. Oggi più di ieri, le cose si complicano. Da una parte, con l’avvento di internet, che segnala l’informazione veloce, da fast food, si legge ovunque e in tutte le forme; bisogna quindi raccontarne i retroscena. Dall’altra parte ci si può interrogare sulle manifestazioni della verità, che paiono non risultare mai totalmente bianche o nere. Inutile lavarle a 90° gradi, gli addendi sono quelli e il risultato non cambia. L’autorevolezza dell’autore, e in questo caso del giornalista, comincia a incrinarsi, non tanto per competenza, ma quanto più per competizione. A noi quindi il compito non solo di cercare la giusta storia, che racconti una parte della verità rifratta dal prisma, estrapolarla come elemento ed essere in grado di collocarla nell’insieme, mostrando i rapporti interni che questo intrattiene con il resto. Una volta trovata la grande nuova, e sperando, soprattutto nel caso di un giornale mensile, che nel frattempo non venga pubblicata altrove, bisogna scriverla, approfondirla. Seguendo il trend attuale, che deriva in parte sia dagli influencer che raccontano la propria esperienza personale, sia dai brevi video di reportage, efficaci e diretti: lo story telling è una strategia che può essere definita vincente. Raccontare l’evento a partire dalle parole di qualcuno che l’ha vissuto sulla propria pelle. Il giornalista quindi ha da una parte un’intervista, dall’altra una visione chiara e logica, oggettiva il più possibile, e che non manca di supporre eventuali effetti sul lungo termine. Perché se l’avere una storia da raccontare è importante, saperla prevedere è anche meglio.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, aprile 2019.

L’ASTAZ a Zurigo per i ticinesi

A Zurigo si respira aria di festa, e anche qui ci siamo noi ticinesi. Dal 1988 infatti l’Associazione degli Studenti Ticinesi organizza feste, conferenze, grigliate, cene e degustazioni varie per gli italofoni che, sebbene con un po’ di velata ritrosia, ammettono di provare nostalgia di casa. “Riunirci e divertirci” spiega David Graf, presidente del comitato organizzativo “fa parte del nostro modo di vivere il mondo universitario.” Da tutto il cantone italofono i giovani studenti si ritrovano, complici per lingua e cultura. “Il programma che semestralmente offriamo è molto vasto,” continua David Graf “in seno al comitato ci suddividiamo le varie tâches, cercando sempre di trasmettere ai nuovi membri del comitato il know how che abbiamo acquisito nel corso degli anni.” Per il 15 marzo inoltre l’agenda ticinese notifica la festa organizzata in collaborazione, da due anni a questa parte, con l’associazione dei francofoni e degli spagnoli: il Ménage à Trois. I numeri rispetto alle cifre di comitati liceali si annunciano più grandi, permettendo così, come spiega il giovane studente, di poter giocare molto di più a livello di locazione, che di musica e attività. Il budget per una festa del genere si aggira intorno ai ventimila franchi, con l’aspettativa di 1’200 persone. E non di meno se ne aspettano per la prossima conferenza, ancora in via di elaborazione, con l’Onorevole Cassis, una prima per l’Astaz.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, marzo 2018.

Nuovi orizzonti per il servizio pubblico

Incontro con Gilles Marchand, direttore generale della SSR

Tra cinque anni l’apparecchio che oggigiorno quasi ogni economia domestica possiede non esisterà più. La televisione infatti, come pure la radio, saranno sostituite da una tecnologia in arrivo, continuando però a diffondere il programma che oggi troviamo sui canali che conosciamo. Dietro la composizione del programma e la realizzazione di tutta questa serie di spazi, che siano di informazione, film, cultura, formazione, sport o divertimenti, vi sono numerosi attori, tra cui anche quelli del servizio pubblico. Come spiega Gilles Marchand, direttore generale della SSR, in occasione della conferenza del 9 febbraio organizzata dalla fondazione Möbius di Lugano, le cose non sono però così facili. Da una parte l’offerta, dall’altra l’audience: una dicotomia il cui equilibrio, in Svizzera, si regge su una serie di rapporti complessi. “Ogni canale di radio e televisione riflette alla sua griglia di programma, che non sarà lo stesso a Zurigo, Ginevra e Lugano, tenendo conto della diversità culturale della regione.” Afferma Marchand, spiegando come la diversità linguistica e culturale debba essere rispettata, ancorandosi al locale e aprendosi per percepire il globale. “Ritengo sia molto importante mantenere il contatto con la popolazione” prosegue il neodirettore, “e chiediamo alla direzione che si occupa dei programmi di osservare ambiente, mercato, concorrenza, bisogni, riempiendo il mandato di prestazione.” A differenza del suo predecessore Gilles Marchand, lo dichiara, non si limita a osservare come il pubblico si comporta, anche perché “non per forza quello che consuma gli piace”, ma ad anticipare, producendo quello che oggi non c’è ancora e raggiungendo anche fasce d’età come quelle dei giovani con nuovi formati.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, febbraio 2018.

CERVELLI IN FUGA. Politica e giovani

Parliamo di giovani: pare che ultimamente Cantone e comuni vadano a braccetto. I segnali non mancano di certo: il tasso di partecipazione giovanile alle urne parla da sé. Ma oggi sembra che le cose comincino a cambiare. Il Ticino non è mai stato al traino, come lo dimostra la Legge Giovani, che diede il “la” all’attività del Consiglio Cantonale dei Giovani, riconoscendolo come organo propositivo del Cantone. Ora in agenda per il 22 marzo c’è l’evento “Giovani, una risorsa per i comuni”, che si propone di favorire la partecipazione sociale e politica dei giovani, sostenendo attività mirate, come ad esempio Pro Juventute, Fondazione IdéeSport, easyvote, i centri giovanili e molti altri ancora. “L’idea è quella di presentare la legge giovani e la legge federale sulla promozione delle attività extrascolastiche.” Spiegano Sara Grignoli e Marco Galli, responsabili cantonali del progetto. “A livello comunale e intercomunale, grazie a idee, opportunità e finanziamenti, vogliamo far crescere questi progetti, mettendo in luce il potenziale dei comuni: le risorse e i supporti da attivare ci sono.” E anche i comuni si sono rimboccati le maniche: in Ticino sono in 31 ad aver aderito a easyvote, con la recente entrata di Lugano, permettendo così l’invio dell’opuscolo informativo, semplificato a partire dal testo del materiale di voto.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, febbraio 2018.

What’s life without PESO

In esposizione a Zurigo, l’artista ticinese Giulio Gamba porta parte della sua produzione: dai graffiti alle tele, un percorso versatile

«Il mio non è tanto un percorso, quanto un saliscendi». Giulio Gamba, artista ticinese, ha esposto a febbraio, in una galleria zurighese, una parte della sua produzione. What’s life without PESO, titolo della mostra, richiama la sua firma, apposta ai graffiti giovanili, dapprima per divertimento, poi per il significato che si nasconde dietro quello che lui stesso definisce una sensazione. «Noi in Ticino diciamo peso, per una cosa che non abbiamo voglia di fare o semplicemente che ci annoia. Non è una cosa come un oggetto o «sedia», ma è un mettersi in gioco, fare delle cose PESO come una mostra, cose assurde, da soli, che possono sembrare impossibili, ma l’importante è provarci: la strada in salita è sempre la migliore». Lo ricorda, anche il suo profilo Instagram, peso.420.

Una produzione con profondità diverse e simbologie come corpo, capelli senza volto, forme che si intersecano le une con le altre; un’evoluzione dei tratti morbidi del corpo di Cézanne o Picasso. Il lavoro sembra discontinuo, uno scavo continuo che approda in nuove forme espressive, disegnando una serie di percorsi versatili. Elementi centrali, o sullo sfondo, delle sue opere sono un frammentare e rimescolare parti del corpo, mostrare la diversità, esprimere per altre vie qualcosa che abbiamo già visto, collegandolo con altro: un tentativo di comunicazione, raggiungere le persone e trovare le vie per farlo. «Credo l’arte come pittura sia oltre l’immagine. Mi piace ritrarre la vita, la vita che faccio: faccio la vita. Darle un’altra forma, sentire sulla mia pelle una sensazione di freddo, e dipingerlo di blu. Mi piace pensare che una persona che non conosco troverà nei miei quadri qualcosa che ha visto anche lei», rivela l’artista. «Sono queste stesse persone che mi interessa ritrarre, nelle loro imperfezioni e dettagli che le rendono uniche, e nel svolgere questi dettagli, passo dopo passo, arrivando a raccontare qualcosa. Il tema delle persone si abbina bene con quello degli oggetti o delle simbologie, perché una persona può avere una personalità e diventare quindi un simbolo anche all’interno di un quadro». Motivi come una candela, accesa e spenta nella stanza, davanti e dietro, che richiama una dimensione, un tempo sorpassato; e allo stesso tempo, stessa stanza, tapparelle in stile anni ottanta, che permettono un ponte, un modulo di colori da sfumature arancioni a un blu metallizzato, crepe di sensazioni su tela. Anche la tela è per Giulio Gamba un punto di arrivo: infatti l’approccio dell’arte comincia sui muri, con una bomboletta in mano. «Bisogna tracciare una linea tra i graffiti e il riprodurre quello stile su un altro supporto: i graffiti rimangono un’arte a sé, sulla strada, ma quello che mi piacerebbe riprendere è lo strumento, la bomboletta, e usarla come un pennello o un pastello». L’artista ci svela i suoi progetti futuri, orientati alla mescolanza di tecniche, che si rifiniscono a vicenda. «Vorrei prendere la bomboletta e usarla come media, come una sensazione, trasformare quella nebulosità e fissarla, attraverso le forme dei paesaggi, unendo tutto questo. Poi magari si potrebbe rielaborare il quadro intero con l’olio, mettere insieme le due cose».

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, aprile 2019.

DA ZURIGO. Cyberfemminismo a Zurigo

La «feministiche Woche» a Zurigo, allestita dall’istituto di Storia dell’arte dell’Università, è stata costellata da innumerevoli mostre, conferenze e seminari circa il tema del femminismo. I riflettori dell’evento, nella settimana dal 4 all’8 marzo, sono stati puntati sulla donna e il cyberfemminismo. La prima ondata del femminismo, tra Otto e Novecento, è caratterizzata da rivendicazioni quali il suffragio universale o il diritto delle donne all’istruzione; la seconda, di pari passo con i grandi movimenti studenteschi degli anni Sessanta-Ottanta, si concentra sulle disuguaglianze, anche a livello sessuale, combattendo per la pillola anticoncezionale o affrontando i discorsi sull’aborto e il divorzio. Con la terza ondata, definita anche post-femminismo, si mette in discussione l’opposizione binaria maschio/femmina, aprendosi anche a soggetti altri, introducendo il queer, mettendo in luce le molteplici e possibili identità di genere, non rispecchiate dall’antitesi dicotomica. «Femminismo»: utilizzato oggigiorno da molti come termine ad accezione negativa, ritenuto una corrente estrema; invero la definizione attuale sfugge alle grinfie della generalizzazione. Il cyberfemminismo si ispira agli studi di Donna Haraway, per la quale i termini dualistici sono venuti a cadere definitivamente, in favore di uno sviluppo in cui il lato umano e quello meccanico sono inscindibili. Così si crea il paragone con la trasgressione delle barriere tra animale, uomo e macchina, lasciando aperto uno spazio di indeterminatezza. È questo il punto da cui partire oggi a riflettere?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, marzo 2019.

Studenti in difficoltà: attratti dalla farmacia?

Si registra un aumento negli ultimi anni del consumo di farmaci da parte dei giovani, soprattutto durante il periodo esami. Da uso moderato a periodico, la tipologia di farmaci, impiegati per ottenere effetti diversi, è molto vasta, spiega Valdo Pezzoli, primario del servizio di pediatria dell’Ospedale Regionale di Lugano. In generale lo scopo è quello di ottenere un miglioramento delle capacità cognitive, aumentando la soglia dell’attenzione e la concentrazione: si tratta di un effetto generale di neuro enhancement. Il dottor medico Pezzoli espone, in maniera complessiva, cinque tipologie di farmaci, con i loro effetti, utilizzate in maniera più o meno frequente dai giovani.

Vi sono dunque le sostanze antistress, come antidepressivi o ansiolitici, usati per togliere il senso di ansia e possibili da prendere anche senza ricetta medica; gli psicostimolanti, contenenti sostanze che agiscono direttamente sul cervello; i ricostituenti o integratori (composti misti con aminoacidi, vitamine, carnitina), utilizzati di frequente da chi fa sport; gli anabolizzanti, per migliorare o aumentare la qualità del metabolismo. Infine, come ultima categoria, sostanze utilizzate per automedicazione, come alcol, sigarette (nicotina), caffè e THC. «Il problema» rivela il medico «è l’uso improprio che si fa di queste sostanze o farmaci: bisognerebbe utilizzarli solo in caso di effettivo bisogno, in particolare i medicamenti contro i deficit, ad esempio della concentrazione». Gli effetti collaterali dell’uso improprio di alcuni medicamenti si pagano: gli psicostimolanti creano una dipendenza, non solo da un punto di vista medico, ma anche psicologico: si teme di non poterne più fare a meno.

Si tratta però di casi estremi: raccogliendo i dati di alcuni studenti zurighesi che ne fanno uso, gli integratori, gli ansiolitici e il caffè sono più utilizzati degli psicofarmaci. Condurre uno studio di questo tipo, rivela il dottor Pezzoli, è difficile: uno studio del 2017 fatto nel Regno Unito, dove vi sono grandi e importanti università, ne rivela l’uso da parte del 25% degli studenti. «È sempre difficile poter giudicare i dati di un campionario di studenti: ad esempio quelli dell’ultimo anno hanno un carico di lavoro maggiore. I dati sono però interessanti per il fatto che effettivamente c’è una percentuale di studenti, e in Europa, sulla scia dell’America, questa fascia sta aumentando».

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, marzo 2019.

DA ZURIGO. Lo sguardo dietro il palco

Grandi preparativi, si direbbe, per chi annualmente aspetta la kermesse del tutto è permesso. Da una parte, la scelta di un costume non banale, annualmente diverso, singolare, che segua o lanci la nuova tendenza. Dopo i capi di simil-belva, adesso la plastica, gonfia o trasparente, prende spazio tra i tendoni adibiti per l’occasione. Dall’altra parte, chi rende possibile il la che da inizio alle danze, chi lo concretizza. Questi ultimi sono coloro che spesso, nascosti dietro le quinte, mirano l’entusiasmo del movimento generale, orchestrato e organizzato nei lunghi mesi precedenti. La sala, le decorazioni, la musica; gli invitati da ultimo rimangono il vero cuore pulsante di questa manifestazione. In questi casi però non si sceglie: tutti, nessuno escluso, è re della festa, come lo vuole la tradizione. A ognuno il diritto, per qualche istante, di sprofondare sul trono, non quello di spade, ma di altri, bere dal calice proibito di parole autorevoli, assaporare la leggerezza di un intellettuale, di un artista, di un condannato a morte. Rivestire i panni di un politico, di un attore, di un semplice passante seduto in sala concerto. A tutti la possibilità di essere chiunque, e attribuirsi gioie e dolori del kairòs di un’esistenza, il soffio di vento che ci riporti in un tendone di musica. Momento, perché no, una volta all’anno, per poter cancellare, obliare la vita, per annullare ogni ricordo, progetto futuro, scadenza troppo vicina. Così turbinare in un grande mare, aspettando l’alba e indugiando ancora, negli occhi di chi non vediamo più, ma che già siamo stati.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, febbraio 2019.

Les Ballets Jazz de Montréal presentano «Dance Me»

Lo spettacolo di danza contemporanea conquista il palco del LAC: rievoca in retrospettiva il lavoro di Leonard Cohen

«It sounded like the truth / but it is not the truth today» afferma Cohen, poeta e compositore. In questo modo l’intero spettacolo «Dance Me» si fonda sulle sue opere, e lui stesso lo avrebbe approvato. Tenutosi nella sala teatro del LAC domenica 13 gennaio, lo spettacolo mette in luce i «cicli dell’esistenza». Alcuni elementi essenziali hanno accompagnato la danza e i movimenti sinuosi lungo lo svolgersi delle coreografie: ad esempio i fari luminosi, dietro i 14 ballerini, che a tratti li hanno resi ombre che si stagliano dallo sfondo della scena, ritagliandosi un proprio volume. O ancora lunghi bastoni di metallo, appoggio e barriera allo stesso tempo, che disegnano per frazioni di secondo rettilinei e diagonali, andando a creare forme geometriche con i corpi. Si parla di amore e solitudine, di riso e pianto nei testi di Cohen: così si alterna luce e pioggia, il rosso e il blu di corpi che cadono, proiettati sul fondo. I movimenti, coreografati da Andonis Foniadakis, Annabelle Lopez Ochoa e Ihsan Rustem, seguono e rompono il ritmo della musica, osando spezzare gli schemi disegnati poco prima, per ricostruire un nuovo tipo di gravità, elettrica. La stessa sequenza è interpretata in maniera diversa dagli artisti, che lasciano una loro traccia nella variazione. L’aspettativa dello spettatore viene rilevata, dando ad intendere una possibile direzione, per poi frantumare il vetro dell’illusione, puntare i riflettori sulle ombre. Sotto una pioggia simulata qualcuno, dieci, tutti, camminano su delle strisce pedonali luminose, attraversando la strada, il cappello in testa. «Questa non è la verità oggi»: si scava dentro le parole di una macchina per scrivere, dettate da una coreografia di gambe e cantato da una bocca rossa in stile pop, mostrata sullo schermo di piccole scatole bianche. Lo spettacolo ha colto il senso essenziale di un sentire postmoderno: mette il dito sui centri di significato e li rende tali, li interpreta, li costruisce e li cambia, in un perpetuo movimento che prende il suo soffio vitale dai testi di Cohen. Spingendosi più in là, osa riconoscere l’antinomia che muove la danza e la continua, rendendola armonia, ponendo in equilibrio anche il pubblico in un gioco continuo.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, gennaio 2019.