Il turista in vacanza

Un piccolo vademecum del turista colto in fallo su cosa fare e cosa non fare in vacanza. Guida all’auto individuazione.

Tutti pronti per la prova costume: si decolla. Organizzati e precipitosi, ci apprestiamo a trascinare le nostre valigie per gli innumerevoli scalini previsti per chi troppo prevede. Infatti, nonostante i vari ammonimenti, la legge del “lo prendo, non si sa mai” è eternamente in vigore. Questo sempre che non compaia all’orizzonte la nuvola del maltempo fantozziana, infradiciando l’unica maglietta davvero utile, quella bianca a maniche lunghe post-scottatura. Prima di partire, i vari controlli: pesare i bagagli, “hai preso i soldi e i documenti?”, manca qualcosa da mangiare per il viaggio, lasciare da mangiare al gatto. Finalmente partiti, cosa che non credevamo possibile, le poche ore di viaggio da fare per arrivare alla destinazione tanto agognata ci paiono una prospettiva infinita. Anche se viaggiare senza andare, purtroppo, non si può fare, a meno di non restare a casa a sfogliare dépliants di viaggio blu, da cui ci pare che scaturisca un odore di sabbia calda. Su quella sabbia, poco dopo, progettiamo di rilassarci, una granita in mano, che ci congelerà in pochi secondi la parte della fronte tra le sopracciglia, una fitta dolorosissima. Distinguiamo le due tipologie di persone: mimetizzarsi con i locali è impossibile, farsi notare è già più facile. Siamo quelli scottati, pallidi, con il casco in scooter, la macchina fotografica al collo, fermi sulla strada per riprendere il dettaglio della guglia particolare. Errore fatale, aprire la cartina in strada: diventiamo vulnerabili e avvicinabili da altri turisti interessati a sapere anche loro dove andare. La cartina è immancabilmente accompagnata da una trafila di prospetti pieghevoli, che riassumono e sublimano quello che non riusciremo mai a visitare, sfidando anche l’ottimista agitato più intraprendente. Con i prospetti si accumulano sul fondo dello zaino anche i biglietti da visita dei ristoranti in cui abbiamo prenotato, mangiato, e promesso, con il cuore in mano e lo stomaco troppo pieno, colti nella nostra debolezza dal cameriere tanto simpatico, di lasciare una recensione su TripAdvisor. Sullo stesso sito abbiamo esaminato con attenzione tutto, finendo i nostri giga del telefono svizzero, poiché per le altre nazioni europee internet non è un optional, ma una realtà. Nonostante siamo partiti all’avventura, pronti a lasciarci alle spalle la routine, ammettiamo di essere immancabilmente abitudinari, andiamo e ritorniamo sempre negli stessi posti che ci sono piaciuti, tra cui possiamo annoverare anche il ristorante italiano. Una volta a casa però neanche i famigliari più prossimi ci strapperanno questa confessione: abbiamo sempre provato piatti del posto, non ha senso andare sulla pizza sicura, quando si può mangiare esoticamente piccante, al modico prezzo per turisti. Dopo la distribuzione dei regali, comprati nel negozietto semi-artigianale, i cui manufatti originali sono ritrovabili anche nella viuzza parallela, seguirà la visione delle foto, dalla quale, ne siamo sicuri, uscirà reduce solo il nonno.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, maggio 2018.

DA ZURIGO. Studenti affittuari del tedesco

I termini di consegna si affastellano, mentre il documento, vuoto, viene spostato nella cartella “tesina quasi definitiva”. Seminararbeit metalinguistico, “meta” come ponte che attraversa la lingua. Ogni lingua definisce la sua materia, attraverso forme diverse, significanti. Se è possibile entrare in un significante per attraversarlo ed elaborare un concetto, allora perché non ripercorrere la lingua per ritrovare il pensiero avvolto in un altro contenitore? Dire qualcosa con una lingua, che non è la propria, non è come dire la stessa cosa in un’altra. La correlazione che si instaura tra il pensiero e le parole deve partire dalla lingua stessa, non essere un mero attraversamento tra un binario e l’altro. Ad esempio per impiegare il duale quando si parla una lingua come il greco, bisogna prima aver appreso il concetto, sconosciuto all’italiano, di una forma verbale che racchiude in sé “due” cose, insiemi, quantità o persone. O ancora l’inglese che marca il plurale con la “s”: una concezione particolare per il cinese, che al contrario non lo marca. Andando oltre quelle che sono questioni di cognizione, vi sono parole che contengono una maggiore quantità di significato nella stessa forma. Prendendo il caso di “Blatt” in tedesco, questo è traducibile in italiano come “foglia” o “foglio”.

Riprendiamo il documento appena aperto e cambiamo il titolo: diventiamo affittuari della lingua per alcuni istanti.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, aprile 2018.

Intervista ad Alan Alpenfelt

Un processo raccontato in cuffia

“Il processo per l’ombra dell’asino” di Friedrich Dürrenmatt, rappresentato in gennaio al Teatro Foce di Lugano, a cura della compagnia V XX ZWEETZ e in collaborazione con Teatro d’Emergenza, ha visto come protagonisti non solo gli attori, ma anche il pubblico.

Da dove nasce l’idea di uno spettacolo in cuffia, improntato più sulla modulazione della voce degli attori che sul senso della vista, a cui principalmente ci affidiamo, è nato dalle tue diverse esperienze con la radio, tra cui anche Radio Gwen?

Sono attratto dall’arte che permette al fruitore di crearsi un proprio percorso attraverso l’immaginazione. Il suono e la poesia sono caratterizzati da una umiltà e una velatura: sanno sussurrare invece di gridare, accarezzare invece di colpire. Il viaggio attraverso la creazione di progetti radiofonici, sia artistici che sociali, mi ha aiutato a studiare quali elementi estetici potessero permettere delle reazioni di meraviglia e creare una drammaturgia che portasse il pubblico a immergersi in un’esperienza piuttosto che in una comunicazione unidirezionale.

Quali sono stati gli espedienti ai quali siete ricorsi per riuscire a rendere al massimo quest’esperienza sensoriale che si può definire a dir poco unica?

Abbiamo pensato di presentare al pubblico una serie di codici che lo aiutasse a sprigionare la loro immaginazione. Per esempio rappresentando le scene in uno stato di costante penombra e illuminando solo il necessario. Le cuffie e il suono tridimensionale invece era, oltre che un divertente meccanismo di offrire un’esperienza immersiva, un trucco drammaturgico per rendere il pubblico non solo spettatore ma anche complice: entrando nella storia, il pubblico diventa parte della polis di Abdera, costituendo la massa inferocita che cerca il colpevole da punire (l’asino).

Perché l’aver scelto di portare sul palco proprio “Il processo per l’ombra dell’asino” di Friedrich Dürrenmatt, che mette in luce tematiche di natura politica ed etica ancora attuali?

Quando lo stavamo producendo, gli Stati Uniti erano chiamati a votare per la Clinton o per Trump. Possiamo osservare ogni giorno notizie di fazioni che vengono create per sostenere e difendere ideali, regole, leggi, nazioni, confini, convinzioni. Quasi sempre (o sempre…?) ci battiamo per cose che non esistono. Anche una legge non esiste. Eppure si ammazza per sostenere l’esistenza di un’ombra di un asino. Come dice il giudice Filippide: “la stupidità umana, è roba da piangere”.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Il 9 maggio pubblicherò il primo disco della mia neo-etichetta Human Kind Records, che tratta di poesia sonora. L’apertura si terrà a Londra, al Cafe Oto. Per chi fosse interessato i due link sottostanti rinviano alle pagine: www.vxxzweetz.com, www.humankindrecords.com.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, aprile 2018.

Intervista a Tatiana Crivelli Speciale

L’intervista a Tatiana Crivelli Speciale, professoressa ordinaria a Zurigo per la letteratura italiana.

Perché andare a studiare letteratura italiana a Zurigo piuttosto che in Italia o in Ticino?

Sono due modi diversi di affrontare lo studio. Uno è quello che ci mantiene all’interno della nostra tradizione culturale, linguistica, storica. L’altro è quello che associa gli studi letterari a un discorso di studi culturali, che prevede una grossa quota di interazione con altro, altre lingue, discipline, modi di guardare al testo letterario. Zurigo è un luogo straordinario per questa sua internazionalità, permettendo di tenere viva questa dimensione multiculturale, che secondo me sta proprio al cuore del nostro essere svizzeri.

Che cosa l’ha spinta a interessarsi a una letteratura contemporanea e moderna, focalizzandosi su Leopardi?

Il fulcro della modernità secondo me è Leopardi. Leopardi ti porta sia indietro, al Settecento, le sue fonti, sia molto in avanti perché i suoi pensieri sono precursori di molte teorie e di molte problematiche che poi vengono svolte e approfondite solo nel Novecento. Oltretutto ho un interesse mio per la filosofia e ho visto molto bene, con la mia tesi di dottorato sulle Dissertazioni filosofiche, come queste problematiche si connettono tra loro: dove uno sta, come ci sta, qual è la sua visione del mondo. Mi stanno a cuore la contemporaneità e la letteratura, che per me non è lettera morta, è qualcosa in cui vivo e che mi aiuta anche a decodificare il mondo in cui sto.

Lei è stata in diverse sedi universitarie, ad esempio in Italia e Stati Uniti. Come sono diverse queste esperienze?

Oggi nel profilo di chi fa una carriera accademica la mobilità è un elemento centrale. L’Italia è stata il punto di riferimento naturale nel corso di alcune ricerche per le biblioteche, gli archivi, mentre gli Stati Uniti sono arrivati con il dottorato, si è aperta un’altra strada: gli ambienti accademici sono meno elitari, è un mondo diverso, perché sono molto attenti a quello che succede oggi, non hanno una prospettiva storica di lungo corso negli studi come c’è in Europa.

Nel 2003 ha ottenuto la cattedra ed è stata la prima donna a dirigere l’istituto di romanistica all’Università di Zurigo e oggi la facoltà può contare numerose donne tra le sue fila: come l’ha vissuto?

Sapendo di essere qualcos’altro non ci si deve adeguare necessariamente, ma ci si può far carico di questa diversità, essendo consapevoli di essere rappresentati di quella minoranza. Se fossi un professore maschio, di mezza età, all’interno di un istituto, rappresenterei me stesso, la mia disciplina. Essendo una donna, giovane, come quando ho cominciato, di un’altra lingua, rappresento simbolicamente anche la professoressa che non ho mai avuto, la ticinese che non c’era mai stata.

Quest’anno ha ricevuto l’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia per la promozione della cultura italiana all’estero, insieme ad Andrea Fazioli e Marco Solari. Che cosa significa per lei?

La mia lingua e la mia cultura sono legate alla tradizione italiana e per me è un grande onore avere riconoscimenti di questo tipo. Vuol dire che ci si sta muovendo in una direzione positiva e propositiva, e che il lavoro che si fa non rimane chiuso all’interno delle mura dell’università. Credo che il nostro sapere abbia bisogno di entrare in contatto con la realtà che lo nutre. L’italiano è una componente determinante, e non solo accessoria, della nostra identità e coesione culturale, un luogo su cui lavorare.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, gennaio 2018.

Notte prima degli esami

Che l’ultima secchiata non s’abbia da fare è opinione comune tra noi giovani studenti universitari. Sotto l’insegna di questo irreprensibile motto ha quindi inizio la notte prima degli esami, ma in factum le cose si annunciano più difficili di quanto previsto. A nulla valgono tutti i buoni consigli, frutto di ricerche su siti internet vari o elargiti da famigliari e amici in vista della nottata, dura separatrice dall’inequivocabile inizio della sessione di esami. Al primo posto per popolarità e funzione vi è la tisana calmante, preferibile sicuramente all’ennesima tazza di caffè, che ha perso ogni effetto sul nostro sistema nervoso e a cui saremo a vita debitori per averci permesso di immagazzinare un tal numero di informazioni. Al secondo posto, non meno importante, ma richiedente il sangue freddo necessario, vi è la preparazione dello zaino per il giorno dopo. Potrebbe essere utile infatti avere già in cartella la penna e i fogli, per non parlare di appunti e riassunti vari da consultare in mattinata. Al terzo posto si colloca invece un’attività che distragga lo studente in ansia. Sul tipo di attività nello specifico le opinioni divergono, passando da un film o un episodio di una serie, al cucinare una cena leggera, all’esercizio fisico, non meglio specificato.

Poi, d’un tratto, la fatidica scoperta di un power point in più da studiare, l’apparizione di un nuovo capitolo del libro da leggere. A nulla valgono i mille rimproveri, “potevo studiarlo prima”, e le numerose rincorse a mo’ di podista “mi passeresti gli appunti di…?”: les jeux sont faits, rien ne va plus. E con la spada di Damocle che incombe sulla testa di tutti, preparati e non, studiati e studenti, ci infiliamo sotto le coperte, resistendo a un’ultima ripassata notturna. A conti fatti, anche questa volta ce l’abbiamo fatta, ci diciamo mettendo la sveglia per il giorno dopo.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, gennaio 2018.

CERVELLI IN FUGA

Fake news: intervista al professor La Fauci: questioni di prospettiva e verità.

Oggi siamo all’incirca 8 miliardi. Anche sulla scena dell’informazione, che sia cartacea o online, una massa di attori attivi e passivi che nel corso degli anni è aumentata esponenzialmente. Di conseguenza anche un volume di notizie, un fiume che si amplia senza poter fermare con una sola voce la risonanza prodotta: “è falso!”

“Mentre prima le masse ricevevano semplicemente l’effetto e lo moltiplicavano poi nei loro modesti ambienti oggi invece le voci del coro sono diventate tantissime, basta poco per scatenare, tra i mi piace e le condivisioni ad esempio, effetti ondulatori, come se cadesse una pietra e provocasse tante onde”, commenta Nunzio La Fauci, professore in cattedra di linguistica al Romanisches Seminar a Zurigo. “In questo momento non ci si fa semplicemente propagandisti nel piccolo ambito. Basta pensare alla vecchia idea di un villaggio sempre più globale in cui le voci, anche singole, del villaggio, si spandono moltissimo. La vecchia idea del villaggio globale di Marshall McLuhan, che si è ingigantita con il mondo delle reti sociali e l’internet.”

Non più una, ma cento, mille voci che si accalcano davanti a un muro invisibile, ognuno dispensatore generoso, interessato; ogni meccanismo producente falsità ben oliato da un preciso sistema di strategie e obbiettivo.

“Abbiamo diffuso uno spasmodico bisogno di verità, la gente compra verità.” Afferma il professor La Fauci. “Il problema ora è che ci sono tanti, molti più rivenditori di verità, chiunque può venderla. Prima c’erano le grandi industrie dell’informazione che vendevano la verità: le televisioni, le testate, le radio E c’era un contratto di fiducia tra chi leggeva queste cose e chi le diffondeva. Si chiamava “Verità” l’organo del partito comunista sovietico Pravda: l’informazione era fondata sull’idea di verità, e tutti pretendevano di dire la loro.”

D’altra parte ogni volta che presentiamo qualcosa lo rendiamo secondo la nostra prospettiva, il nostro punto di vista, secondo il nostro modo di sentirne la pertinenza. “Per determinare la veridicità di una voce c’è l’affidabilità che noi attribuiamo alla fonte da cui viene quella voce. Nella dispersione completa in cui adesso viviamo, nel vocio assoluto che adesso viviamo, in cui è veramente difficilissimo distinguere qual è la fonte, la credulità impera. Oggi visto e considerato che abbiamo smontato questa storia della verità assoluta, sappiamo che non possiamo “acchiapparla” facilmente, restiamo sempre sul “chi vive”. Anche la credenza che ci siano dati oggettivi è una credenza già da post-verità. Presentiamo i dati oggettivi senza dire mai che nella rilevazione di qualsiasi dato c’è una relazione tra chi li rileva e quello che viene rilevato. Il dato non nasce mai da sé, c’è sempre bisogno di qualcuno che lo rilevi. Basta vedere a quale dei numeri noi diamo importanza. Ci sono aperte falsità, ci sono menzogne, ma anche nel campo dei dati verificabili c’è sempre la scelta che noi facciamo.”

Verità assoluta: un mito davvero estinto, disutopizzato? Se così fosse non vi sarebbe più interesse nella ricerca della conoscenza, nel discernere la realtà per quello che è e non per come si presenta a noi, candidamente vestita. Ma tra lettore e lettore rimane ancora una sottile linea tra la disponibilità e la critica. Mutatis mutandis, affastellate le più disparate voci, e sul browser di ricerca spesso una sola fonte di informazione.

“Era il sogno della modernità, portare tutti sullo stesso livello” conclude il professor La Fauci. “Rispetto a tanti anni fa la diffusione almeno della lettura di base è cresciuta. Tutta la gente che si informa ovviamente non è tutta al livello di quella che un tempo si informava. L’obbiettivo era portare tutti a livello alto, mentre la realtà è che ci stiamo portando tutti a livello basso. Sono le due direzioni del moderno che confliggono.”

Resta ancora da vedere nei prossimi anni quale corso prenderanno le testate più importanti, messe a confronto con una numerosa concorrenza. Scenderanno in campo pronte a cedere il vertice o saranno loro a dettare le condizioni, tutelando la nostra ricchezza linguistica?

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, dicembre 2017.

CERVELLI IN FUGA

È stata un’ampia delegazione ticinese quella che quest’anno ha preso parte alla 25esima Conferenza dei Parlamenti Giovanili (CPG), tenutasi a Zurigo a fine ottobre. Giovani parlamentari, non solo da tutta la Svizzera ma anche dal Principato del Liechtenstein, si sono riuniti per un lungo fine settimana costellato da diversi workshop, dibattiti, escursioni, così come da un’assemblea plenaria finale.

“La CPG è il secondo più grande evento giovanile a livello nazionale”, ci spiega Florian Ramos, co-presidente del comitato organizzativo della FSPG (Federazione Svizzera dei Parlamenti Giovanili), “e in questo senso si realizzano pienamente gli obbiettivi della FSPG: creare reti tra i giovani parlamentari. È unicamente possibile acquisire il knowhow attraverso lo scambio e la condivisione di idee, esperienze, concetti.”

E nessuno si è tirato indietro. Dictum factum, anche i ticinesi erano in prima linea. “È stata un’esperienza arricchente non solo dal punto di vista personale ma anche da un lato più pratico. I workshops in particolare sono uno strumento molto utile per la formazione dei membri dei vari parlamenti dei giovani, apportando sempre un grande contributo in seno al proprio comitato.” A parlare Nicolas Orlandi, membro del comitato del Consiglio Cantonale dei Giovani, che con il Parlamento dei Giovani della Città di Lugano PGL e l’Assemblea Giovani Bellinzonesi AGB, dava corpo a un folto gruppo, per un totale di 9 delegati. “La delegazione ticinese ha davvero subito una crescita esponenziale negli ultimi anni” continua Nicolas “e questo ci permette a un ritrovo nazionale come la CPG di rappresentare al meglio la Svizzera italiana, consentendoci contemporaneamente di dare maggior peso alla nostra voce”.

E se da una parte non vi è stata una traduzione in italiano, e a tratti neanche in francese, realtà portata alla luce proprio da Nicolas Orlandi durante l’assemblea plenaria, dall’altra non è mancata una prima per gli italofoni: per loro unoSpeed Debating ad hoc. Il cosiddetto dibattito veloce, elaborato e modificato sulla falsariga di quello ideato quattro anni fa da Segen Tezare del Parlamento dei Giovani della città di Ginevra, oltre alle consuete tavolate di discussione in tedesco e francese, ha portato con sé anche una politica ticinese. A Tessa Prati, membro del consiglio comunale della Città di Lugano, è stata data carta bianca per la gestione del tempo dei due temi affrontati, “futuro dei social media” e “stage non pagati”, diversamente dalle altre postazioni, previste con una rotazione dei partecipanti ogni 15 minuti.

“Durante l’incontro con i ragazzi ho avuto la possibilità di ricevere input da persone che, sebbene più giovani di me, hanno bisogni e una visione della società diversi dai miei.” Discussione e riflessione sono quindi stati i due correlativi oggettivi caratteristici della tavolata fatta su misura. “Ritengo estremamente importante che ci sia la rappresentanza ticinese perché, nonostante i numeri più piccoli, i parlamentari giovani che arrivano dal Ticino ci sono” dichiara la giovane politica. “Introducendo dei momenti in italiano non solo i ragazzi sono più invogliati a partecipare e si tiene conto della diversità presente sul territorio, ma si presenta anche per i giovani non di madrelingua italiana che lo studiano un’ottima sfida.” Forse che l’elezione di Cassis abbia cambiato le carte in tavola? In ogni caso, come diceva Cicerone, è solo quando le cose sono in movimento che c’è la possibilità di cambiare qualcosa.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, novembre 2017.

Festival Internazionale del Teatro FIT

“Scegliere di fare arte, anche se oggi questa è un’idea desueta, è un atto politico.” Afferma Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT Festival. “Trovo sia necessario più che mai oggi tornare a interrogarsi sui nostri gesti, su quello che facciamo e anche su quello che non facciamo e provare a capire quali sono le reali conseguenze. Pensare che la guerra, la privazione delle libertà fondamentali, la miseria non ci riguardano, solo perché sono fatti lontani, è una stupidaggine. Basta andare in un aeroporto, ad un concerto, in una piazza di una grande o piccola capitale europea, per capire quanto la “paura globale” ci tiene prigionieri. Ecco perché penso che bisognerebbe ricominciare a interrogarsi.”

Una kermesse all’insegna dell’attualità e del moderno quindi, che si profila anche seguendo “una linea estremamente politica” secondo le parole di Carmelo Rifici, direttore artistico di LuganoInScena.

E quest’anno infatti è stato proprio il Festival Internazionale del Teatro ad aprire il sipario della stagione di LuganoInScena, una collaborazione che prende vita tre anni fa. “Ci siamo arrivati molto semplicemente: io e Carmelo Rifici ci siamo incontrati un pomeriggio di quattro anni fa a parlare nel suo vecchio ufficio e abbiamo capito che, vista la stima reciproca, l’unica e intelligente cosa da fare era quella di collaborare. Così è stato da subito. Abbiamo iniziato una grande sinergia che fa bene a tutti: al nostro Ticino, alla nostra Lugano e al nostro pubblico, e i risultati sono evidenti. È stato un cambiamento fondamentale se si pensa che il FIT Festival a partire dal 2005 e fino al 2014 aveva come diretto concorrente la stagione teatrale della Città, dato che la programmazione si svolgeva nelle stesse date.” Commenta Paola Tripoli. Una collaborazione che dà più ampio respiro all’atmosfera culturale e internazionale che pervade ogni anno la città di Lugano, appena ricominciate le scuole. “È un festival che vuole quindi armonia, tra polis ed individuo, tra il tutto e le singole parti, uno spazio pubblico nel quale tutti i cittadini possano sentirsi parte fondamentale, partecipando.” I cittadini in primo luogo, e i ragazzi come protagonisti della Giuria Giovani, una giuria che alla fine del Festival FIT ha il compito di premiare uno dei cinque spettacoli selezionati nella categoria YOUNG&KIDS. Coordinatrice della Giuria Giovani e del Giornale del Festival, redatto dai ragazzi stessi, da due anni Monica Muraca segue il lavoro di analisi e approfondimento dei pezzi di teatro, accompagnando i ragazzi in questo percorso ricco di conoscenza, approfondimento ed emozioni. “I giovani si avvicinano e guardano uno spettacolo a teatro con meno preconcetti dell’adulto, forse con una soggettività propria meno schermata come è quella dell’adulto, il giovane è maggiormente predisposto ad accogliere con meraviglia quello che vede, stupendosi, interrogandosi su quello che vede e spesso gli spettacoli visti insieme suscitano infinite e inesauribili domande.”

Una novità di quest’anno, oltre ai quaderni del FIT, che raccolgono le riflessioni e i punti di vista di professionisti che provengono da ambiti diversi in merito agli spettacoli in programmazione, è stata la collaborazione di due redattrici della rivista italiana cartacea e online “Stratagemmi”, Camilla Lietti e Alessandra Cioccarelli. “Le possibilità erano tante: ci siamo suddivisi gli articoli, le recensioni, le interviste agli attori o al pubblico. In un secondo tempo ci hanno aiutato a focalizzarci sui punti da guardare, come seguire uno spettacolo e come scriverlo al meglio. Il pezzo vincitore è stato “Niña” della compagnia teatrale Gatto Vaccino, che abbiamo premiato per il fatto che rispecchiasse molto di più la vita di un adolescente, anche noi ci siamo davvero immedesimati.” Racconta Elia Jacop, studente al quarto anno di grafica alla Csia di Lugano.

Simbolo di questo festival lo struzzo, a simboleggiare lo status quo del nostro non vedere il presente, un mondo-Eden che “assomiglia sempre di più all’inferno” finisce la direttrice Paola Tripoli. “Il teatro si pone in tanti modi: noi vorremmo ricominciare a pensare e a vedere. Vedere la bellezza che contenga in proporzioni esatte melodia e rumore. Pensare a un possibile ordinato caos.”

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, ottobre 2017.

CERVELLI IN FUGA

Zurigo. Freddo, tram, caffè. Partiti, anche noi uccellini abbiamo lasciato il nido, abbiamo attraccato la nostra barchetta della conoscenza in un porto un po’ meno sicuro, un po’ meno quotidiano rispetto a quella lontana Lugano.

“Quanti crediti hai questo semestre?”, “Io abito a Oerlikon“, “Quali Vorlesungen fai?” sono le domande che più riecheggiano nella Lichthof dell’Università di Zurigo.

Ancora ci destreggiamo tra una grammatica instabile e lo scaglionarsi delle ore che per questo nuovo inizio ci sembrano troppo poche, nonostante l’immediata e acquisita abitudine agli orari concitati dei tram che si inseguono ogni tre minuti.

Noi ticinesi emigrati al di là del Gottardo, paladini del tedesco, fieri riportatori di valigie piene di vestiti da lavare nella nostra sogenannte Sonnenstube, e puntualmente riempite di cibo di ritorno verso il nostro nuovo piccolo appartamento.

Indescrivibile il batticuore quando, improvvisamente, inaspettato, udiamo qualcuno parlare in italiano. Troppo tardi, ce ne accorgiamo, non è che un “ciao” lanciato nell’aria a mo’ di Tschüss esotico.

Con simulata calma ci apprestiamo a redigere con cura e apprensione le prime liste della spesa del semestre o ci arrendiamo pensando “mangerò poi questo fine settimana la pasta alla carbonara della nonna, dovrebbe bastare.”

A dominare la scena è però l’emozione. Anche noi ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati a questa spiaggia, ci chiniamo sul computer portatile pronti a tutto. Sono le nostre lezioni, siamo diventati protagonisti del nostro sapere. Ci facciamo strada, percorrendo un cammino già in salita, ma vedete che vista? Dalla cima è molto più ampia.

Ci chiediamo, in questa densa massa di persone, come fare a distinguerci per la nostra individualità, rendendoci conto di quanto ancora dobbiamo imparare, delle nostre fragilità. Tra 26’000 studenti noi che sedia occupiamo? Tra qualche mese potremmo essere in prima fila come seduti sugli scalini. Ci rimbocchiamo le maniche, alziamo la mano, battiamo le nocche sul tavolo a fine lezione.

Respiro profondo. Ci siamo. Partiamo?

Vox populi

“A Zurigo? C’è tutto.”

“Una bella città, molto grande, adatta agli studenti, mezzi di trasporto per andare ovunque e tante opportunità lavorative come pure attività culturali o sportive per gli studenti.”

“Studiare a Lugano è come continuare il liceo, solo che si chiama università. Penso che solo il fatto di trasferirsi cambi completamente il modo in cui impostiamo la nostra vita, ci dia un nuovo inizio.”

“Faccio il mio secondo anno di master in inglese e il mio tedesco basta largamente per le attività di tutti i giorni.”

“Anche io con il tedesco “speriamo che me la cavo”. In realtà quello che più mi spaventano sono i lavori di gruppo in classe in cui tutti parlano in svizzero-tedesco.”

“Non si tratta di un mero luogo comune: la pasta è davvero il pasto più cucinato dagli studenti!”

“A livello di organizzazione è fantastico. Posso decidere cosa fare e quando farlo senza rendere conto a nessuno. Quando torno a casa a Lugano però si sottostà nuovamente alla legge del “se vivi sotto il mio tetto” anche se poi vieni viziato come non mai: noi studenti lontani manchiamo tantissimo a casa.”

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, ottobre 2017.

Princesses

Quale ragazza non ha mai sognato di essere una principessa?

Ma un conto è essere una principessa «tanto, tanto tempo fa», un altro è esserlo oggi. E lo spettacolo di teatro «Princesses Karaoke or something like that» ci parla proprio di questo.

«Abbiamo cercato di trovare un ponte tra il mondo delle favole e quello virtuale, nel quale siamo immersi ogni giorno. La creazione di una storia magnifica, di una vita e un profilo perfetti, alla costante ricerca di like e di followers. Ci interessava indagare quale fosse quella necessità e al contempo quella desolazione che ti porta a diventare e a voler essere una star, anche solo per 5 minuti.» Dicono Anahì Traversi e Camilla Parini, le due attrici dello spettacolo che si è tenuto giovedì 2 febbraio al Teatro Foce di Lugano.

Chi più chi meno, siamo tutti toccati da questa realtà. Nel ritmo incalzante della rappresentazione, fra luci abbaglianti e rossetto sbavato, abbiamo fatto una sorta di zapping in questo mondo solo in superficie perfetto. È tutto una continua, incessante ricerca del successo, data anche dai canoni di bellezza e di perfezione amplificati in particolare dai social media, che sfocia nella brama della corona di plastica.

Sfoggiamo quindi un trucco pesante e vestiti luccicanti ostentando un’identità che non ci appartiene veramente. Uno spettacolo a tratti grottesco e paradossale, ironico, accompagnato da una serie di video e musica, che manifestano la sudditanza che abbiamo nei confronti della televisione, dei media e dei social.

«Oggi i social network ci fanno sentire importanti e apprezzati, ma allo stesso tempo ci impongo

no modelli ai quali siamo costantemente confrontati.» Affermano le due attrici. «La bellezza, il successo, la fama, l’eterna giovinezza, la ricchezza, il talento: sono temi costanti in tutti i media che alimentano, inconsciamente, il desiderio e il bisogno di essere unici e speciali.»

Non di rado infatti ci paragoniamo, ci misuriamo l’un l’altro, aspirando a prototipi ideali. Dietro la nostra vanità e pretenziosità si nasconde la nostra fragilità. Vittime, come siamo, della manipolazione e del consumismo, dei paradigmi ai quali bisogna aderire per essere accettati e sentirsi qualcuno. Pensiamo che solo in questo modo si realizzeranno i nostri desideri, la favola perfetta, il principe azzurro che ci porterà via su un cavallo bianco, finalmente felici.

«Lo spettacolo ha preso forma anche grazie al saggio di Dubravka Ugrešić «Cultura Karaoke», che indaga i cambiamenti sociali degli ultimi decenni, dove il fenomeno dell’imitazione vale molto più dell’originale fino ad una omologazione dei gusti e dell’immaginario.»

Alla fine ci alziamo dunque abbagliati da questo mondo, dalla nostra realtà, concentrata in questi sessanta minuti, colorata e variegata come non l’abbiamo mai vista. Ci chiediamo quanto anche noi siamo coinvolti in questo genere di fenomeno. Anaïs Nin scrive che i racconti di favole ci hanno avvelenati. Favole magiche che stendono un velo rosa su una verità molto più complessa, ma che al contempo ci somministrano un po’ di veleno, nella dose giusta per vivere la realtà in maniera più leggera.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, febbraio 2016.